Un paesaggio lagunare

Su richiesta di un amico, prima allievo, ora cammina con le sue gambe, cerco di fotografare le varie fasi di questo lavoro, una commissione. Le foto sono fatte alla svelta con il telefono e per evitare riflessi devo avere poca illuminazione, alla fine pubblicherò una foto di buona qualità, troppo complicato farlo in opera.
I passaggi rappresentano le effettive sedute di lavoro. Nella prima ero partito da una tavola
in multistrato, applicato un leggero strato di gesso e steso un fondo ad olio, ho dimenticato di fotografare il fondo perché trovo importante anche quello. Si deve già dipingere, come fosse
un dipinto astratto, deve essere “bello”, con tocchi spontanei, mai tirati, mai ripassare due volte sullo stesso punto. Il fondo risalirà sempre, sarà sempre percettibile o visibile.
La seconda è apparentemente la meno produttiva, in realtà si fissano i posti degli elementi,
quindi siamo alla composizione. essendo di scuola veneziana avanzo per masse e non con il disegno. Poi se la composizione e buona, gli abbozzi corretti, si accelera.
Nella nona si risolve il cielo un po’ a sorpresa, ma sono eventi frutto di anni di lavoro.
dovevo schiarire e dar materia a tutto il cielo, ero preoccupato di non appesantirlo.
La prima pennellata è troppo chiara ma ha una bella tonalità, scarico il pennello simulando
un’apertura tra le nuvole e…. basta! Era quello che serviva. A parte alcuni ritocchi è completato. Dalla decima inizia la parte più pericolosa, anche qui si tratta di finire gli elementi senza perdere una pittura veloce. Vedremo.

Destino

Non c’erano molti dubbi sul fatto che sarei finito a fare l’artista. Quando ero piccolo mio nonno materno mi costruiva castelli e fortini usando le confezioni dei panettoni e pandori, non semplici riusi ma dei veri capolavori con torri e ponti levatoi, poi lo guardavo lavorare il ferro battuto. Dipingeva pure, anche se in stile naïf. Mia nonna prendeva dei sassi e li decorava con delicati mazzi di fiori. Uno zio dipingeva belle vedute veneziane e fabbricava deliziose scarpette, come vere, per le bambole. Mia madre disegnava benissimo, anzi era una grande artista a cui è mancata la possibilità di esprimersi completamente ma ha avuto il suo successo. Mio padre invece scriveva ed era amico di artisti tra i quali spicca Pietro Annigoni. Resterà fatale per la mia formazione la visita nel suo studio fiorentino, un colpo di fulmine a 15 anni:avrei fatto il pittore. In collegio, ci ero finito come da prassi come teppista da redimere, cominciavo a guadagnare disegnando. Dopo un biennio alla facoltà di Architettura, l’Arte e le gonnelle mi dirottarono all’Accademia. Alla fine mi fidanzo in pianta stabile con la figlia di un noto artista veneziano, Vittorio Basaglia. Secondo voi avevo possibilità di non finire davanti ad un cavalletto a vita?

Il fumetto, un amore difficile.

Il mio rapporto con il fumetto non è mai stato semplice anche se da ragazzo avrei voluto scegliere quella strada. Sono senz’altro più portato per l’immagine singola, per l’illustrazione, parente stretta della pittura tradizionale ma la mia genesi culturale pop mi ha da sempre fatto sognare di diventare fumettista. Ai miei tempi esistevano le riviste, in Italia il mensile Linus a metà degli anni sessanta era di una qualità e di una modernità mai raggiunta, oggi siamo molto più indietro.
I disegnatori erano veri professionisti, termine che non indica il grado di bravura bensì il fatto che di quel mestiere si campa, questo si traduceva in una produzione corposa, variegata e di pregio. Si pubblicavano generalmente poche pagine, a volte una sola, solo più avanti si raccoglievano questi raccontini in volumi unici. Oggi minimo devi impegnarti in progetti onerosi, dalle 48 pagine dello standard francese alle 250 e passa delle graphic novel autoctone. Anche il bianco e nero, re del fumetto, ha ceduto il passo al colore a tutto scapito del disegno. Mi riferisco soprattutto al mercato italiano, all’estero c’è per fortuna ancora qualità e ricerca, rimanendo nel buon disegno.
Ovvio che la necessità di mirare alla quantità sia a scapito della qualità. Oggi sono molto belle le copertine ma all’interno le tavole sono scarne, senza ambientazione, pochi sono i volumi che mi impressionano quando li sfoglio in fumetteria. Il mio sguardo e le mie mani alla fine vanno sempre a cadere sullo scaffale degli autori storici come Toppi o Battaglia o a certi buoni Batman attuali.
Si salva l’ambiente indie, ho visto cose molto belle, relegate ai margini delle nicchie,
furoreggiano i fumetti con pretese di impegno e poche i disegno. I Manga sono un universo differente di cui ammiro la professionalità. Quando penso al fumetto mi rivedo ragazzino, in prima scientifico, mentre ero in collegio, mi guadagnavo qualche spicciolo realizzando poster con soggetti presi da Linus. Compravo dei fogli di cartoncino colorato 70x100cm, usavo pennarelli Grinta e un rudimentale episcopio, fornivo anche le bacchette per appenderli nelle nostre camere. Quindi a 14-15 anni ero già un professionista! In seconda superiore sono stato sospeso per un breve fumetto su Gesù, non per il contenuto che non era troppo irriverente ma perché circolava in classe durante una lezione creando ilarità e confusione. Passa il tempo e la pittura comincia perdere un posto di primo piano anche a causa dell’ambiente famigliare. Ma Venezia era una città ricca di fumettisti, facile citare Pratt ma non si contavano i bravissimi disegnatori per l’Intrepido, Lancio Story, Topolino, erano parte della quotidianità, era una città ricchissima di materie prime ma arida e incapace di creare una sua indipendenza culturale e senza quella dimensione limitata ma vitale delle città di provincia. Nè carne né pesce e oggi i tristi risultati di questa mediocrità sociale si vedono.
Un amico di mia madre e anche mio è Ivo Pavone, buona mano, un vero fumettista,
mi regalava fasci di preziosi pennelli WN n°1 appena li reputa non più in grado di avere una buona punta e quindi inabili per l’inchiostratura. Mi spingeva a cimentarmi nella sua arte ma in quel periodo ero distratto da una vita assai leggera.
Nel primo periodo dell’Accademia comincio a preparare qualche tavola, cerco di scrivere delle storie, mi alleno alternando ogni tanto la china ai colori ad olio.
Salto molti particolari privati che renderebbero questi ricordi più coinvolgenti ma non è il contesto e devo stare attento che la memoria, che parte sempre dal cuore, non finisca per raccontare cose distraenti. Rimaniamo tre le strisce e le nuvole.
Tra il 1973 al 1976 l’incontro con i racconti di Tolkien mi ispirano storie con gnomi e mostri. Nel 1977 dopo un viaggio solitario a Napoli e Pompei, realizzo una breve storia di otto pagine dai risvolti psichedelici. Restano comunque fasi di studio e di ricerca personale. Un amico mi presenta due personaggi, titolari di una piccola casa editrice milanese e rigorosamente militante a sinistra. Mi propongono di disegnare la storia dei Rolling Stones! Cosa volevo di più per un esordio? La stessa che si vuole oggi, cioè essere pagato e aver il tempo per fare un buon lavoro. Morale, a parte le due prime tavole appena passabili, la necessità di terminare in poco tempo una ottantina di pagine e retribuito per scherzo, si tradusse in un lavoro deludente, che verrà comunque pubblicato con mia grande vergogna.
Fallire per me è l’occasione di migliorare e non demorsi. Nel 1980 la Fondazione Bevilacqua La Masa, che già mi faceva da balia come pittore, indice un concorso di fumetti: “Immaginaria”. Fanno parte della giuria delle grandi firme compreso il mio mito Breccia. Scrivo e disegno una storia incentrata su Venezia, di fantasia, con risvolti paranormali ma estremamente attenta alle questioni sociali dell’esodo che già colpiva i ceti più deboli. Il lavoro è abbastanza buono, non ancora costante nella qualità, ma la sceneggiatura mi piace tutt’oggi e il disegno comincia a migliorare.
Infatti sono tra i vincitori, il premio consisteva nella pubblicazione dei racconti prescelti, i quali erano effettivamente frutto del lavoro degli elementi giovani e attivi della città lagunare. Ed invece ecco un’altra delusione, il comitato organizzatore e la casa editrice, che avrebbe curato la pubblicazione, decidono che sarebbe stato più conveniente sostituire le storie dei premiati con alcune fatte al volo dai giurati,
chi avrebbe mai comprato i fumetti di sconosciuti?
Brutta storia, mentre ci illudevano con le votazioni avevano già pronto il tradimento e così fu mandato in stampa il volumetto “Immaginaria, Altan, Breccia, Crepax, Pratt, Toppi per Venezia”.
Grazie, gentilissimi e alcuni, di cui non faccio nomi, decisamente st…. mascalzoni.
Andiamo avanti. Mentre con la pittura e le prime illustrazioni ho vita facile, il fumetto insiste nel respingermi. Scrivo altre due sceneggiature rispettando i canoni della precedente e completo molte tavole, si profila l’idea di una serie di racconti di una dozzina di pagine a tema Venezia, tra l’horror, il fantasy e il sociale, ambientate ognuna in un’epoca diversa. il Gazzettino cerca delle storie a fumetti da pubblicare a puntate, perfetto! Sembra l’occasione che aspettavo.
Porto il materiale alla redazione, allora si portavano gli originali e come potete già presumere da questa precisazione, sparì tutto il malloppo! Non otteni nulla, un muro di omertà coprì il misfatto e rimasi orfano di tutta la mia produzione.
Che fine avessero fatto i tre racconti e altre tavole allegate non venni mai a saperlo.
Basta, decisi che tra me il fumetto non c’era fortuna, nel frattempo la pittura andava bene e mi arresi. Per il momento.
Ogni tanto ci ripensavo ma il mondo del fumetto era ormai cambiato, troppa politica, riviste in via di estinzione, gruppi chiusi per non chiamarli in modo peggiore, Venezia perde per anagrafe i suoi protagonisti. Le storie ormai devono essere corpose e lunghe, pazienza, a più tardi si spera.
Arrivano i primi computer, nel 1983 ne intuisco l’utilità nel disegno ma in Italia mi prendono per visionario. Ma più mi criticano e più mi scaldo, così nel 1984 acquisto un AppleII poi l’evoluzione-clone “Lemon IIe”, il primo mouse, il primo software di disegno, la prima tavoletta Koala dal semplice input on-off, ma si disegnava a mano libera! Doto il computer anche di un’uscita audio e video e fotografo il monitor tramite un imbuto squadrato in cartone nero e registro alcuni contenuti su Betamax. Assieme ad un giovanissimo sviluppatore, 15enne, partecipiamo all’edizione della Collettiva della Fondazione Bevilacqua del 1984 e vinciamo un premio con quella che reputo la prima installazione di illustrazione digitale in Italia, chi ha una data precedente me la segnali. In un HD da 20M prestato da un rivenditore che ci sponsorizzava, avevamo sviluppato una presentazione di molti minuti di disegni bitmap, compreso un brevissimo fumetto per bambini: “Super Mouse”, in onore della nuova periferica.

La copertina di Immaginaria marzo 1980
Un frammento fotocopiato di una bozza del mio fumetto premiato
Stampa ad aghi di due vignette di Super Mouse, 1984

Tre anni fa un altro amico e anche un po’ l’interesse di mia figlia per le fumetterie mi è tornata la voglia di riprova. Partecipo a Cavallino Comics e vinco il primo premio di 800€ con una breve storia di tre pagine la cui sceneggiatura, se pur nuova, riprende la vecchia serie veneziana nei contenuti e nello stile.
“La Morte e i gabbiani”.

Sembra che questa volta con il fumetto il ritorno di fiamma sia positivo, ma non sarà proprio così. Le tre tavole mi procurano l’interesse di qualche editore e partecipo ad un altro concorso per realizzare un fumetto sulla Battaglia di Solferino e S.Martino a cura del Museo che ne cura la memoria. vinco facile con una pagina ma il premio è una condanna: 100 pagine per 1000€! Riesco a trattare il numero e chiedo i diritti post vendita, ma il museo non vuole o non può liquidare diritti d’autore. Dopo qualche tavola di prova l’avventura finisce.

Il fumetto su Solferino piace ad una nota libreria editrice, non faccio nomi, non scrivo per polemica ma per raccontare cosa significhi cercare di fare il professionista nel nostro paese, questa sì è polemica. Gli editori in qualche modo sono a loro volte dei penalizzati, specie quelli piccoli. Il titolare mi telefona ed esalta:”Bello, bellissimo, facciamolo, lo pubblico!”. ” Bene-rispondo-quanto pagate a tavola?”.
Questo serafico replica:” Ma noi non paghiamo!”. “Sti cazzi….”, penso io dato che sono romani. Continua:” Organizzeremo un evento durante il quale potrà vendere gli originali o quello che vuole”. ” Ma quelli sono comunque miei e poi cosa mangio mentre completo l’albo?”, quello incalza curioso:” Che mestiere fa? Non ha uno stipendio per tirare avanti?”. Io: “Noooooo disegno! Arrived…addio!”.
Poi è la volta di due altre offerte di lavoro. una viene dalla più importante casa editrice per fumetti italiana, mi chiedono dove fossi rimasto nascosto tutti questi anni e che sicuramente mi avrebbero trovato un modo di collaborare. Questi pagherebbero ma hanno un approccio troppo seriale, avessi avuto i miei vent’anni sarebbe andato bene, ma diventare un impiegato del fumetto, giusta gavetta, non si adattava ormai alla mia età attuale. Poi per un’ombra, tutta italiana, proiettata dalla seconda proposta mi hanno escluso non rispondendo nemmeno più alle mie email.
Il reato, aver accettato un lavoro da una casa editrice di destra!
Al momento non lo capii, ebbi conferme tempo dopo per caso.
Pazienza, ma meglio così. Ma le tavole e le prove cominciano a soddisfarmi e porto avanti i miei progetti personali, in modo particolare le storie brevi ambientate a Venezia nelle varie epoche. Una foto molto famosa della Prima Guerra mi da lo spunto per inserire anche quel periodo storico.

Tavola di prova sempre per la serie veneziana.

Poi altra storia storta, Macbeth per ragazzi per un editore inglese, dopo molto lavoro si interrompe la collaborazione, la manifesta imperizia dello sceneggiatore rende il rapporto insostenibile. Peccato era un bel lavoro.

Questa breve e lunghissima storia ci porta a Mishima, biografia a fumetti dello scrittore giapponese per l’editore Ferrogallico. Casa editrice dichiaratamente di destra impegnata nel conquistare terreno nel mondo del fumetto che in Italia è monopolio della cultura di sinistra. L’argomento mi piace, conoscevo e ammiravo Yukio Mishima, mi ricordavo del doloroso esordio con gli amati Stones, volevo rimediare e risistemare le lancette del tempo! Accetto. La sceneggiatura non è veramente tale, non è indicato nemmeno il numero di pagine definitivo, alcune parti sono prolisse, altre si risolvono in: “Qualche pagina con scene di kamikaze”.
Ma l’autore del testo non si opporrà mai alla mia revisione e alla riduzione in 75 pagine quindi posso finalmente lavorare sereno anche se i tempi di consegna si dilatano per il lavoro imprevisto di riadattamento della sceneggiatura.
Il 20 ottobre 2019 il libro arriva alle vendite e sembra essere stato accolto con favore.
Per i limiti che il mercato nazionale mette in termini di compensi il lavoro è soddisfacente e finalmente mi sento di affermare 40 anni dopo, di aver esordito come fumettista! Basta aver pazienza e crederci….

Ma…… c’è sempre un ma. Entro in contatto per una prova per un grosso editore francese, la persona con cui mi interfaccio è entusiasta ma l’editore è laconico,
sono un disegnatore “Old school”, troppo attento ai particolari, troppo…. troppo.
Aurevoir. Merci. Pas de quoi.